martedì 20 aprile 2010

Un po' di Rinascimento









La definizione di Rinascimento è una tra le poche a sorgere in concomitanza con il periodo stesso. Con questo s’intenda che, mentre accezioni negative quali “gotico” sono nate in epoca successiva al periodo cui il termine fa riferimento, entrando poi nell’uso comune, il termine “rinascita” viene usato per la prima volta dal Vasari, appena alla metà del XVI secolo. La divisione temporale dell’arte rinascimentale presenta tuttora alcune difficoltà. La data d’inizio del Rinascimento è tecnicamente considerata il 1492, anno della scoperta dell’America e della morte di Lorenzo il Magnifico, ma questo tende a relegare il Quattrocento a semplice momento preparatorio per la cultura del Cinquecento. Tale divisione è inaccettabile. Seppure si tende giustamente a dividere gli artisti seguendo il secolo cui essi appartengono, la rigida divisione tra XV e XVI secolo ha poco senso in una compagine culturale che prende avvio ai primi del Quattrocento ed abbraccia tutto il Cinquecento, senza strappi né fratture. Spesso i critici preferiscono dividere il Rinascimento in primo, medio e tardo. E’ certo, comunque, che ogni personalità artistica appartiene ad un periodo per le sue caratteristiche e non certo per la data di nascita. La pittura nel Rinascimento rappresenta ciò che la scultura rappresentò per l’antica Grecia. Malgrado l’indubbio sviluppo di tutte le arti e l'unitarietà delle diverse discipline artistiche, è certo che la pittura abbia un ruolo preminente nella cultura rinascimentale. La rivoluzione degli stilemi artistici nasce proprio dalla pittura con l’opera di Masaccio, che trasforma radicalmente la materia pittorica. Un tratto che distingue profondamente la pittura dalle altre arti nel Rinascimento è la mancanza del modello classico. Nel clima d’ispirazione ai modelli classici, la pittura non ha alcun riferimento oggettivo. La pittura classica viene scoperta molti secoli più tardi, con gli scavi di Pompei nel XVIII secolo. Manca, dunque, un vero modello di riferimento. Pure la pittura, come tutte le altre discipline nel Rinascimento, è improntata alla fede per la ragione e al dominio della realtà da parte dell’uomo. L’osservazione diretta della realtà rappresentata è frutto della certezza da parte dell’artista, della sua consapevole fiducia nei propri mezzi di ricerca e nelle proprie capacità espressive. Sono numerose anche le innovazioni tecniche nel campo della pittura. Già Domenico Veneziano, Piero della Francesca, Andrea del Castagno non usano più riportare la sinopia, cioè il disegno preparatorio realizzato in piccolo sull’intonaco mediante una quadrettatura che permetta di mantenere le proporzioni originali. Si realizzano, invece, cartoni a grandezza naturale, poi incisi sull’intonaco. Il sistema facilita il lavoro ed agevola la cura dei particolari. Nel Cinquecento si diffondono nuove tecniche che riguardano la pittura su tavola, prediligenti l’olio alla tempera. Geniali artisti, fra i quali Leonardo, sperimentano nuove tecniche, a volte anche con esiti disastrosi. I soggetti nella pittura Rinascimentale mutano anch’essi. La committenza religiosa non gode più d’esclusività. Sono molti i ricchi signori che commissionano opere profane, spesso ritratti (la ritrattistica ha un ruolo privilegiato, in questo periodo). Dalle innovazioni di Masaccio la pittura si avvia verso nuovi stilemi, passando attraverso le opere di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, Piero della Francesca e Sandro Botticelli. Tutto il Quattrocento è un fiorire di personalità artistiche d’alto livello. Lo stesso Leonardo è l’artista che si pone come cardine tra Quattrocento e Cinquecento, in contatto con l’arte dei più giovani Raffaello e Michelangelo, esponenti del pieno Rinascimento.



lunedì 19 aprile 2010

Sensazioni

Una bambina felice, un'adolescente tranquilla, una ragazza tormentata. Eccomi qui, questa sono io. Ho trascorso anni rinchiusa nelle mie certezze, ho superato tutte le difficoltà affidandomi alle mie convinzioni, ho vissuto i momenti più belli della mia esistenza. E adesso il buio. Non è poi così assurdo. Arriva un momento nella vita in cui si è costretti ad abbandonare le proprie verità e questo significa crescere. Avevo un unico ideale, tanto giusto quanto pericoloso: la perfezione. Essa ha acceso in me il sorriso, ma anche la sofferenza ed è sempre stata la mia linfa vitale, la mia forza interiore. Ma una mattina qualcuno ha deciso di aprire i miei occhi e mi ha privato della mia inseparabile compagna. E' stato straziante. Dentro di me ho sentito il vuoto. Non pensavo che potessero bastare cinque minuti per abbattere le certezze di una vita. E da allora la mia vita è precipitata. Fingevo di stare bene, ma non era affatto così. Otto mesi vissuti nella più totale insicurezza, circondata da quel perverso senso di inferiorità nei confronti dei miei colleghi. Ed infine, di nuovo una svolta. Sembrava quasi che tutto fosse tornato alla normalità, avevo ottenuto le mie rivincite e gradualmente riacquistavo un po' di fiducia in me stessa e disponevo mattoni sopra mattoni per ricostruire la mia identità. Riuscivo persino a scorgere, sebbene ancora da lontano, la mia vecchia compagna di vita, stava ritornando in me l'ideale della ragazza perfetta. Purtroppo, però, le ferite più profonde possono essere risarcite, ma resterà in eterno quella loro cicatrice incancellabile. Proprio nell'attimo in cui avevo la possibilità di riacquistare il mio passato, ho compreso di non desiderarlo più. Non sono più sicura che quella fosse la mia vera vita. Capita spesso di desiderare qualcosa all'infinito e di accorgersi, in seguito, quando la si è conquistata, di non esserne più interessati. Otto mesi di autodistruzione dovevano necessariamente lasciare un segno all'interno della mia anima. Avrei dovuto capire che non sarebbero potuti volare via da un momento all'altro. E adesso? Adesso vivo in uno stato di precario equilibrio e di intensa confusione. Non credo di conoscermi fino in fondo, non so quali siano i miei progetti futuri. A volte, da sola nella mia stanza, penso che mi farebbe bene andarmene via per un certo periodo, cambiare vita totalmente per capire chi sono. Ma il buon senso mi trattiene qui, ancorata a quelle convinzioni che ormai risultano così estranee da me. Però, devo ammettere, che una volta intrapresa questa via non si può più tornare indietro; non è possibile fuggire via, ripudiando quanto in venti anni si è realizzato. E allora resto qui ad aspettare lui, lui che saprà conferirmi la forza e la volontà di accettare il mondo che ho faticosamente creato intorno a me durante la mia esistenza. E' diventato lui la mia linfa vitale, forse perchè è l'immagine della perfezione. E solo vedendo la mia dolce compagna di vita incarnata in un essere umano potrei riuscire nuovamente ad apprezzarla. Ma lui mi sfugge, o, forse, ho solo paura di incontrarlo. Perchè, magari, la sorpresa non sarà poi così piacevole. Potrei rimanerne delusa. Non so neppure se lui esiste davvero, ma per adesso preferisco continuare a pensare che ci sia. Anche se mi manca da morire. Ma il dolce velo dell'illusione è sempre meglio dell'"arido vero". E scusatemi, se ho scritto un intervento, il cui argomento è davvero tanto lontano da quello del blog, ma descrivere il proprio malessere aiuta almeno a sopportarlo. E, forse, un giorno smetterò di credere che lui esista e tornerò la ragazza del passato, serena e piena di sicurezze, ma quel momento è ancora molto lontano e lui intanto rimane con me, perchè sono convinta che un giorno lo affronterò. E ,probabilmente, sarà quel medesimo giorno quando smetterò di cercarlo.

mercoledì 14 aprile 2010

Anche la danza è un'arte

Molte volte, nel tempo libero , mi soffermo a guardare dei video, in cui si possono osservare coreografie eseguite da splendidi danzatori. Adoro l'arte della danza. La adoro e basta, senza un motivo preciso. La danza è semplice armonia del corpo. E' pura bellezza. Corpi che si muovono leggiadri, forgiati da anni di duro lavoro. Il movimento dei ballerini può definirsi incantevole. Braccia che sembrano le ali di un gabbiano, piedi perfettamente stesi e puntati, che esprimono già da soli metà della coreografia. Gambe distese ed aperte a trecentosessanta gradi. Muscoli totalmente contratti. Non vi è nulla che sia fuori posto. A volte, sembra quasi che i corpi dei danzatori siano sul punto di rompersi. Sono talmente stirati che potrebbero spezzarsi da un momento all'altro. Dietro vi è un enorme esercizio fisico, che sul palcoscenico si trasforma in forza per esprimere quanto si deve raccontare in quel momento: gioia o dolore, bontà o cattiveria, piacere o affanno. Eccovene una dimostrazione. Concludo il mio discorso con una citazione di colui che è stato, forse, il più grande ballerino di tutti i tempi, Rudolf Nureyev: "La danza è tutta la mia vita. Esiste in me una predestinazione, uno spirito che non tutti hanno. Devo portare fino in fondo questo destino; intrapresa questa via non si può più tornare indietro. E' la mia condanna, forse, ma anche la mia felicità. Se mi chiedessero quando smetterò di danzare, risponderei: quando smetterò di vivere".